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In risposta all'Arcivescovo Luigi Renna

La lettera aperta di Open e Arci Catania a seguito della contestazione del convegno Pro Vita




È del tutto inutile, Arcivescovo, che vi lagniate di essere stati sopraffatti da un gruppo di facinorosi che vi hanno impedito di parlare. È del tutto inutile che vi acconciate con la pelle dell’agnello per suscitare in chi vi legge l’empatia del martire. È del tutto inutile perché noi tutti vi conosciamo bene e non siamo certo come lo sprovveduto Isacco morente che si lasciò ingannare da Giacobbe travestito dal proprio fratello. Noi vi conosciamo bene, i nostri occhi sono abituati a vedere oltre il paravento delle belle parole concilianti, le nostre orecchie sentono lo stridore dietro le parole affabili. Siete stati voi e quelli come voi ad averci obbligati ad affinare i sensi, a stare sempre vigili, a riconoscere quando il nemico si prepara ad agire.


È nemico chiunque voglia negare le nostre esistenze. È nemico chiunque operi per fomentare l’odio verso la nostra Comunità. È nemico chiunque non riconosce l’alterità come propria simile. È nemico chi sacrifica i corpi vivi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle sull’altare delle proprie convinzioni ideologiche.


Parlate di dialogo negato, Arcivescovo. Brandite la parola “dialogo” come un’arma per colpire chi dissente e chi si oppone. Quale tipo di dialogo è mai possibile se una delle due parti – la vostra – ritiene che l’altra non abbia diritto ad una vita autentica, libera e felice? Che forma di dialogo sarebbe quella tra la formica e la scarpa che la vuole schiacciare? La possibilità del dialogo presuppone l’esistenza di un rapporto paritetico tra le posizioni a confronto; se una delle due nega l’altra non c’è possibilità alcuna di intavolare nessuna discussione.


Ci venite a raccontare, Arcivescovo, con bonomia paterna, che quelli venuti a parlare erano scienziati e filosofi. Non è sufficiente mascherare con la categoria della scientificità una posizione ideologica per poter dire che sia legittima. Anche il manifesto della razza del 1938 fu firmato da dieci scienziati italiani; era per questo motivo giusto? Se io e lei fossimo stati presenti all’epoca e fossimo stati in grado di tacitare quelle voci lo avremmo fatto o lei avrebbe riconosciuto loro il diritto di esprimere liberamente quel loro pensiero?


Lei si chiede:

Si può dare voce a chi ha degli argomenti scientifici e filosofici che dicono altro rispetto ad una cultura che nega che ci sia una questione gender e ripete uno slogan che ribadisce la propria libertà (sul mio corpo decido io)?”

Si potrà, nella cultura contemporanea, ascoltare chi nega che l’aborto non è solo questione di una donna che decide ma di un embrione (ed ognuno di noi lo è stato in una fase aurorale nella fase della sua vita), che non può decidere ed ha bisogno della solidarietà della società civile?”


Ebbene, la risposta è semplice: no, no e ancora no! Non si può dare voce a delle posizioni (scientifiche e religiose) che propinino ancora la sciocchezza dell’esistenza di una fantomatica “teoria gender” nel senso in cui voi la intendete. Esiste la volontà di educare le nuove generazioni al rispetto dell’alterità, contro sessismo, misoginia e odio nei confronti della Comunità lgbtqia+? Sì. E una tale progettualità dovrebbe essere accolta da chi come voi professa fratellanza e amore.


No, non si può dire, Arcivescovo, che l’aborto non è questione solo di una donna, perché è proprio quella la questione. Decidere se interrompere una gravidanza – non importa se sia una decisione sofferta o meno, non serve soffrire per dare valore alle nostre decisioni – è esclusivamente una questione che riguarda quel corpo: non di un’altra donna, non di un altro uomo, non di un prete né di uno scienziato. L’embrione non ha bisogno di alcuna solidarietà, Arcivescovo, perché non è una persona. E se anche fosse una persona ci spieghi il motivo per cui la vita della donna in gravidanza debba valere meno di uno zigote. Quale vita sta cercando di tutelare?


Lei afferma gemente che è stata una sconfitta per tutti. Io aggiungo che è stata una sconfitta per tutti voi. Non è ammissibile che in un luogo pubblico come un’Università si possa fare propaganda di un pensiero che neghi i diritti di altre persone partendo dal più basilare diritto all’esistenza. Esistere per come si è e non per come credete voi che si debba essere.


La vostra attenzione per le soggettività trans, i loro percorsi di affermazione di genere, il loro desiderio di essere nominate col nome che hanno scelto e non con quello che è stato loro imposto, alla luce della carità cristiana di cui lei è latore appare una ingiustificata ossessione, un immotivato piano, un tragico scopo.


Non giocheremo al vostro gioco, non vi legittimeremo consentendovi di dialogare sui nostri corpi e delle nostre vite. Dietro la vostra bontà sbandierata come una falsa bandiera di resa si nasconde un pensiero che merita di essere combattuto in ogni circostanza esso tenti di manifestarsi.


Alessandro Motta

Presidente di Open Catania

Responsabile delle politiche queer e transfemministe di Arci Catania


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